La maggior parte delle informazioni che abbiamo su quella eruzione, accaduta tra il 24 maggio del 1890 e la fine di novembre 1891, vengono da una bellissima pubblicazione, scritta nel Novembre del 1891 da un grande scienziato di origini modenesi e trapiantato a Catania. Stiamo parlando di Annibale Riccò, che fu anche grande geofisico e persino Rettore dell'Ateneo catanese.
Le prime notizie sul susseguirsi degli eventi sismici e vulcanici giunsero a Riccò attraverso una fitta corrispondenza con il Dott. Errera, che, a Pantelleria, curava una serie di strumenti geofisici. In quelle lettere Errera scriveva del suo allarme per i terremoti del 24 e 25 maggio 1890 che avevano sconvolto gli abitanti delle contrade di Gadír, Trácino, Serraglia, Rekhali e fino a Scauri.
I danni, fino a quel momento, si limitavano alla rottura di una quarantina di cisterne, ma il dato che allarmava maggiormente gli abitanti dell'isola era il lento ma costante sollevamento della costa Nord-Est dell'isola, in particolare della zona tra Punta Kharúscia e Punta Trácino. Questo sollevamento fu stimato intorno a 75 centimetri e questa misura fu effettuata misurando la variazione di quota della linea di costa, chiaramente indicata dagli organismi incrostanti che vivono proprio nella zona dove battono direttamente le onde marine.
Un altro terremoto sconvolse gli isolani il 12 giugno 1890 ma, dopo qualche replica nei giorni successivi, il fenomeno sembrava essersi esaurito e la gente tornò alla vita di sempre.
È da sottolineare che, fino al giugno del 1890, il fenomeno sembrava limitato alle contrade citate, mentre l'abitato di Pantelleria non era stato interessato.
Improvvisamente, il 14 ottobre del 1891, cominciò una lunga sequenza di terremoti che stavolta furono direttamente risentiti nell'abitato di Pantelleria. Questi terremoti, che durarono per oltre dieci giorni praticamente senza interruzione, gettarono nel panico gli abitanti dell'isola, che abbandonarono le case per riversarsi nelle campagne. In realtà i danni furono contenuti: solo 5 case furono lesionate e per una sola fu necessario l'abbattimento. Ma, come spesso succede in questi casi, si cominciarono a diffondere tra gli isolani voci legate a leggende che raccontavano che l'isola, dopo un iniziale sollevamento, era destinata a sprofondare in mare. E' facile rendersi conto che l'atmosfera in paese era molto tesa, e la situazione si aggravò in seguito all'improvviso abbassarsi del livello delle acque nei pozzi di acqua dolce ed al prosciugamento delle buvire (polle di acqua salmastra) che si trovavano lungo la costa dell'isola. Il culmine della crisi si raggiunse il 17 ottobre, quando, intorno alle 11 e 30, in direzione Nord-Ovest rispetto al porto di Pantelleria, il mare si alzò improvvisamente di livello, agitato da una strana ebollizione. Qualcuno credette che si trattasse dell'agitarsi di un grosso cetaceo, ma ogni dubbio sparì quando si cominciò a levare una colonna di vapore e furono uditi i primi sordi boati. Non c'era più alcun dubbio. Era cominciata una eruzione vulcanica sottomarina.
Il sindaco di Pantelleria, signor Valenza, riferisce in un rapporto di essersi recato in barca con il Dottor Errera ad osservare il fenomeno, e che furono avvistati molti pesci morti, con gli occhi fuori dalle orbite e che la temperatura dell'acqua era più calda di un grado e mezzo. Ma la cosa più strana osservata fu una lunga striscia (circa un chilometro) di blocchi galleggianti formati da un magma spugnoso nero. Una ulteriore stranezza era il fatto che questi blocchi, appena uscivano dalle profondità marine, emettevano gas a pressione, che spesso li faceva letteralmente volare per 15-20 metri in aria, prima di ricadere in acqua. L'incaricato del servizio presso il semaforo di Pantelleria osservò questi blocchi durante tutta la notte e riferì che nel buio si vedevano le scie luminose di questi blocchi, dovute ai gas incandescenti che li rendevano perfettamente visibili anche da lontano.
A questo punto il panico raggiunse livelli parossistici e il governo decise di inviare esperti e rinforzi nell'isola "che recassero consiglio e provvedimenti". Lo stesso Riccò fu incaricato di seguire il fenomeno e, a bordo del piroscafo "Bagnara" che faceva rotta verso Tunisi, raggiunse l'isola in modo avventuroso, a causa dell'improvviso peggioramento delle condizioni del mare, tanto che si rese necessario far scalo dietro Punta della Pozzolana. Qui fu ricevuto con tutti gli onori dal sindaco, da Errera e dal Comandante del Presidio. A questo punto Riccò racconta che per i primi giorni non fu possibile andare nella zona dell'eruzione (che si trovava circa 4 Km a Nord Ovest dell'isola) e che dunque si dedicò alla installazione di alcuni sismoscopi (strumenti per l'osservazione dei movimenti del suolo) e di una vasca contenente mercurio, che permetteva l'osservazione delle più piccole variazioni della pendenza del terreno. Intanto, il 22 ottobre, giunse in porto la corazzata Bausan della Regia Marina Italiana, comandata dal colonnello De Libero, a bordo della quale il nostro scienziato poté compiere i primi sopralluoghi. E così il 23 ottobre, Riccò, in compagnia del Prefetto di Trapani, del sindaco Valenza, di Errera, del capitano Canino e dello studente di Scienze Naturali sig. Giuseppe D'Ancona, ci si imbarcò per effettuare tutti i rilievi nell'area dell'eruzione. Qui furono osservati centinaia di blocchi di lava nera che galleggiavano in acqua e che soffiavano vapore acqueo ("palloni di lava").
Spesso questi blocchi saltavano in aria o partivano a pelo d'acqua, spinti a reazione dal gas che contenevano. Altri esplodevano, lanciando pericolosi frammenti. Una volta espulso il gas, i blocchi affondavano di nuovo. L'odore di zolfo era fortissimo e accadde anche un grave incidente, allorchè il capitano Canino fu colpito in volto da un frammento che gli causò una brutta ferita. I blocchi furono pescati e misurati con grande fatica e alcuni riportati a terra per essere conservati. Fu presa l'esatta posizione della zona di emissione di queste bombe vulcaniche e, sulla scorta delle osservazioni dei giorni precedenti, fu accertato che il fenomeno stava perdendo d'intensità. Anche la temperatura dell'acqua era tornata ai valori normali. Fu calato un lungo scandaglio che accertò che in quel punto il fondale si trovava a circa 320 metri.
Nei giorni seguenti i boati lentamente cessarono e non si videro più blocchi di lava risalire in superficie. L'eruzione si era conclusa.
A questo punto abbiamo notizie di ulteriori rilievi sulle emissioni delle favare e sulle piante di fico letteralmente bruciate dall'improvviso rialzo termico del terreno a Kharébbi, ma l'unico dato interessante che fu riscontrato è da riferire alle misure del sollevamento della costa NE dell'isola. Riccò le misurò con attenzione, aiutato dal maestro Teti, e riporta che a Punta Kharúscia la costa si sollevò di 25 centimetri e che il sollevamento cresceva via via spostandosi verso Punta Spadillo, per poi diminuire fino a Cala Tramontana, dove fu stimato intorno a 50 centimetri. Ovviamente, come è possibile osservare ancora oggi, la variazione più spettacolare fu osservata presso le Baláte, dove la costa si sollevò in due scatti fino ad un massimo di circa 80 centimetri.
Suggestionati da questa descrizione, il Dott. Mario Mattia (INGV), insieme ai colleghi dell'Università di Catania Carmelo Monaco e Giorgio De Guidi, hanno lavorato su varie ipotesi di meccanismi che potevano giustificare questo comportamento durante le eruzioni. Le conclusioni sono state riportate in due lavori scientifici che hanno evidenziato alcune cose interessanti:
- Attualmente l'Isola è caratterizzata da una intensa fase di "sgonfiamento" (in termine tecnico "deflazione") che è tipico di una caldera vulcanica, centrata nella zona sud-occidentale dell'Isola . L'evidenza di questa fase è osservata sia attraverso le intense variazioni negative di quota (effettuate dall'Osservatorio Vesuviano per mezzo di misure di livellazione), sia grazie alle misure di interferometria satellitare SAR. Dall'inversione analitica di questi dati si ottiene la posizione della sorgente di deflazione (in linea di massima immaginabile come una "camera magmatica" che va via via raffreddandosi e perdendo fluidi attraverso le numerose fumarole), che è quella riportata in figura (profondità circa 4 Km sotto il livello del mare).
- Dalla attenta osservazione e dalla datazione al radiocarbonio degli allineamenti di organismi incrostanti lungo l'intera costa dell'Isola, è stato possibile trovare almeno tre livelli che testimoniano, oltre quello del 1891, almeno altri due episodi di intenso sollevamento della costa pantesca (uno tra 500 e 900 anni fa e uno più di 900 anni fa). Questo conferma il fatto che il sollevamento della costa è un meccanismo tipico dell'attività vulcanica "recente".
La sintesi di queste osservazioni (e di molte altre troppo "tecniche" e lunghe da riportare) è che il magma basaltico si "infiltra" lungo le discontinuità tettoniche dell'Isola e, letteralmente, agisce come un cric sotto una macchina, sollevandola da un lato, per poi fuoriuscire dove la resistenza è minore, ovvero in mare aperto.
Tutto questo testimonia, qualora ce ne fosse bisogno, che Pantelleria, oltre che una splendida Isola dove trascorrere le vacanze, è anche un sito di primario interesse vulcanologico, un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, che meriterebbe maggiore attenzione da parte dei ricercatori e della comunità scientifica internazionale.
(di Mario Mattia, INGV)